M.A.V.M. Guido Visconti di Modrone
Duca di Grazzano Visconti e Conte di Lonate Pozzolo

Stemma bassorilievo
Nasce a Milano il 9 Dicembre 1901. Primo di 7 tra sorelle e fratelli (tra cui il famoso regista cinematografico Luchino) effettua il servizio Militare nel Savoia Cavalleria, uno dei più antichi, gloriosi e famosi reparti dell’Esercito Italiano.

Colpito dal
“mal d’Africa” negli anni trenta si trasferisce in Libia dove acquista e gestisce direttamente una grande azienda agricola.

Richiamato in servizio allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1941 chiede di passare alla nuova specialità da poco costituita dei “Fanti dell’Aria”.
Comandante dell’11a Compagnia del IV Battaglione Paracadutisti della 185a divisione “Folgore” con il grado di Capitano viene schierato con i suoi uomini a Deir el Manussib (El Alamein) dove opera alacremente al rafforzamento delle postazioni difensive in previsione di un rinnovato imminente attacco nemico segnalato dall’intellicence.

In una delle ispezioni in prima linea dell’assetto difensivo predisposto viene fatto segno a ripetuti colpi di fucile esplosi da cecchini nemici. Invitato da suoi ufficiali a ripararsi curvandosi nella trincea resta famosa la sua risposta:
”Un Visconti non si inchina certo davanti al piombo dei Windsor”.
el.5


Viene gravemente ferito mentre ispeziona le linee di difesa battute da giorni da incessante fuoco di artiglieria nemica. Resosi conto della gravità delle ferite subite rifiuta il trasporto nelle retrovie per non abbandonare il reparto e solo su forzoso ordine superiore acconsente a lasciarsi trasportare in luogo di cura a ridosso del fronte.
Conscio della fine non esprime rimpianto alcuno tranne quello di non poter morire in linea tra i suoi uomini

Muore il 14 Ottobre 1942 nella tenda da campo dell’infermeria.

PREGHIERA ORIGINALE DEL PARACADUTISTA scritta da Don Scantarburlo
Dopo il segno di croce che il giovane prete tracciò su quella
massa compatta, come suggello di benedizione e di grazia celeste,
la tromba squillò ancora una volta ed il Cappellano,
ritto davanti all'altare, lesse la "Preghiera del Paracadutista":
« Signore grande Iddio, vivo nello spazio infinito, dove il
dovere per la Patria in armi ci ha fatto sbocciare come candidi
fiori con i nostri paracadute, ascolta:
Guida e proteggi l'ardimentoso volo, come quello delle aquile
piombanti sulla preda, e fa di noi, e da a noi la fulminea e
travolgente irruenza di frecce, scoccate dall'arco teso del nostro valore,
più potente del rombo dei nostri apparecchi.
Come nebbia al sole, davanti a noi siano dissipati i nostri
nemici, ed il nostro piede calpesti sempre vittorioso la mèta
che l'anima ha sognato.
Candida sempre, come la bianca seta del nostro paracadute,
sia la nostra fede e indomito il nostro coraggio.
La nostra vita giovane è tua, per quel caro e benedetto
suolo latino, dove sono piantati i nostri focolari e fioriscono i nostri destini.
Se è scritto che cadiamo, sia!
Ma da noi, seminati dalla morte, sprezzata dalla nostra audacia,
balzino gagliardi a falange, da ogni goccia del nostro sangue,
figli e fratelli innumeri, sempre orgogliosi del nostro immortale passato,
sempre degni del nostro immancabile avvenire.
Benedici, Signore, la nostra Patria. Signore, le nostre famiglie.
Signore, le nostre mamme, le nostre spose, sorelle, fidanzate:
Signore, i nostri cari! Per loro, nell'alba
o nel tramonto,
sempre, la nostra vita, Signore, per noi il tuo glorificante sorriso.
E cosi sia! ».

ZERO TRACCIAMENTI / NO TRACK